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martedì 18 maggio 2010

L'ADOLESCENZA… Conflitto tra indipendenza e dipendenza... una storia clinica!

Perché un articolo dedicato esclusivamente al periodo adolescenziale?
Il motivo è abbastanza semplice, voglio onorare quel periodo di vita indefinito, quanto perturbato, dedicandogli dell'attenzione.
L'adolescente vive il classico conflitto dell'età che consiste nell'impossibilità di potersi collocare in una dimensione ben precisa, quella adulta o ancora quella infantile.
Pensate all'adolescente come quel bambino che viaggia verso l'età adulta, e che in tutto quel viaggio non riesce ad identificarsi in nessuna dimensione in particolare, ma semplicemente essere un viaggiatore.
Egli dunque, non può essere definito bambino ma nemmeno adulto.
Usualmente a questo "povero" essere in balia spesso delle incongruenze degli adulti, viene chiesto di comportarsi come bambino delle volte: "queste cose sono da grandi, non hai ancora l'età per farle… ecc."; e invece altre dover saltare all'età adulta con un jet supersonico per comportarsi in modo che, giustamente, ancora potrebbe non appartenergli: "ormai sei adulto e devi capire che… ecc., ecc.".

La realtà adolescenziale purtroppo è proprio questa, una specie di mancanza d’identità, e chi è adolescente non sa proprio dove collocarsi. Una realtà conflittuale per eccellenza, che va dal sociale allo psicologico per soggiacere nel fisiologico. Infatti, l'adolescente ha appena vissuto il trambusto ormonale che ha prodotto il disagio conseguente alla perturbazione caratteristica della pubertà. Essa si presenta invasiva cambiando il fisico, ma senza che la psiche abbia avuto il tempo di adeguarsi opportunatamente. Si, il bambino si trova ad avere un corpo adulto, ma desidera inizialmente ancora giocare ai soldatini o alle bambole.


Un passaggio veloce che va dalla preadolescenza alla adolescenza, un momento caratterizzato dalla accellerazione della crescita fisiologica e somatica.

Anche lo sviluppo della sua intelligenza è segnata da un iter complesso.
Spiegandolo, posso dire che l'individuo sviluppa la sua intelligenza con la maturazione biologica del suo cervello da una parte, e l'interazione di quest'ultimo con l'ambiente dall'altra. Appare, dunque, ovvio pensare, che l'ambiente debba essere sufficientemente stimolante per permettere che la sua intelligenza si sviluppi adeguatamente, altrimenti si potrebbe avere facilmente un ritardo mentale, e questo anche di fronte sia ad una ereditarietà priva d’anomalie, sia davanti ad uno sviluppo biologico sano.
Tale sviluppo psicogenetico dell'intelligenza raggiunge la maturità proprio con l'adolescenza.

Ma che significa ciò?


Semplicemente che l'individuo percorre diversi stadi psicogenetici di sviluppo intellettivo. Egli inizia, infatti, con una primaria intelligenza chiamata senso/motoria, tipica del lattante con la quale inizia a conoscere l'ambiente toccandolo, palpandolo o succhiando gli oggetti con la sua bocca. Secondariamente attraversa dei stadi dove compare il linguaggio, l'intelligenza intuitiva e le emozioni interindividuali spontanee. Poi si vive la comparsa della primaria logica, che però è su fatti concreti, e sarà presente per tutto il periodo preadolescenziale. Infine, con l'adolescenza come detto, arriva la maturazione intellettiva completa, con la comparsa del pensiero astratto e simbolico e con la formazione della personalità e del desiderio dell'inserimento affettivo ed intellettuale nel mondo degli adulti.

Quello che è importante comprendere è che lo sviluppo intellettivo, come qualsiasi acquisizione di nuova conoscenza, avviene non per sovrapposizione di nuovi dati, ma attraverso un vero e proprio dinamismo che utilizza due fondamentali meccanismi di acquisizione conoscitiva: l'assimilazione e l'accomodamento.
Con il primo meccanismo si assimila la nuova conoscenza, mentre con il secondo, che è successivo al primo, si accomoda questa nuova nella vecchia conoscenza, per ritornare ad un equilibrio che si trova ad un livello superiore.

Dunque, l'adolescente possiede tutte le caratteristiche del pensiero anticipatorio, quello che ha la caratteristica del "possibile", il quale gli permette di iniziare a pensare al futuro e a tutto ciò che lo caratterizza, di stendere teorie su se stessi e sul mondo, ecc.

Egli possedendo tutte le caratteristiche del pensiero adulto desidera anche metterle in pratica. Ma questo non gli risulta facile perché, anche se possiede un'intelligenza ben sviluppata, nello stesso tempo non possiede una simile maturità nella sua intelligenza emotiva. Per cui ciò è di ostacolo ad esistere in modo ben definito.
L'adolescente dalla dipendenza deve raggiungere l'autonomia, e per tale scopo deve elaborare costruttivamente i vecchi schemi di pensiero infantili, per rompere gli obsoleti legami che tali schemi rappresentano. Ecco qui del perché del bisogno di legami al di fuori della famiglia, un esempio è l'amico intimo, conquista iniziale che poi porterà alla ricerca di un partner d'amore.
Di fatto, se ci mettessimo ad osservare un adolescente, noteremo chiaramente nel suo comportamento la coesistenza sia di impulsi verso l'autonomia, nonché l'inerzia delle esperienze infantili. Tale realtà causa un certo tipo di comportamenti e i loro opposti (forti ribellioni alternate a passive sottomissioni; presenza di forte iniziativa ma facilmente seguita di forte pigrizia; ecc.)

Insomma, tutto questo indica chiaramente nel conflitto adolescenziale, la simultanea presenza di un forte desiderio di andare avanti verso l'autonomia ed un bisogno altrettanto forte di tornare indietro verso la dipendenza.


Per spiegare ulteriormente tale realtà conflittuale riporto un caso clinico particolarmente esaustivo.

Un giorno non molto lontano una donna di 36 anni, separata e con una figlia di sei anni moglie di un mio conoscente, mi chiede di aiutarla. E così mi adopero ad intrattenermi con lei in colloqui ripetuti, ma non in chiave terapeutica poiché questo non era possibile, visto che la conoscevo da circa due anni, ma semplicemente in chiave di consiglio amichevole. I colloqui li affrontavamo in un Bar poiché ella ne gestiva uno insieme al marito nella cittadina di Viterbo.
I suoi problemi era costituiti da una sofferenza terribile verso il suo lavoro, che riteneva assolutamente non gratificante, e da problematiche di rapporto con il marito, al tempo non era ancora separata, sentiva verso di lui una insostenibile dipendenza, una dipendenza annichilente perché, a dir suo, il marito la gestiva totalmente. Ella diceva: "mio marito mi gestisce, non sono libera di essere me stessa, ecc., ecc."
Inizialmente la donna aveva vissuto con questo uomo in modo quasi completamente infantile abbandonandosi a lui, per poi con gli anni cominciare a sentire tale attaccamento come asfissiante, ma senza, purtroppo, riuscire a comprendere realmente le motivazioni di tali sensazioni di oppressione. Così cominciarono le facili proiezioni: "non sono io che ho bisogno di lui, ma è lui che mi gestisce, non sono libera di essere me stessa, ecc., ecc." mi diceva, ella credeva che l'altro la condizionasse, invece non era altro che il suo bisogno di dipendenza infantile che veniva soddisfatto, la paura di vivere in prima persona aveva segnato la modalità di rapportarsi al marito.
Successivamente la donna si separa da questi poiché la tradiva, e conosce un uomo con il quale va a convivere. In questo nuovo contesto continuano amplificandosi tutte le sue reattività nevrotiche alla dipendenza infantile, infatti, comparivano in lei, purtroppo, altre problematiche relazionali, sia verso il nuovo compagno, sia verso la figlioletta., questo dovuto alla mancanza quasi totale di contatto e comprensione di se stessa.
Che era accaduto?
La separazione aveva inconsapevolmente segnato una imposizione all'autonomia, un'autonomia sempre temuta ma ormai inevitabile. Una imposizione coattata dalla paura di non potersi più appoggiare a qualcuno, visto l'esperienza precedente del tradimento. Ella, pertanto, doveva necessariamente sperimentare per la prima volta la propria capacità di vivere: dover badare alle sue esigenze e a quelle della sua bambina. Tutto questo creava però in lei una forte confusione durata poi per anni. Tale confusione era dovuta alla tensione emotiva, in generale, conseguente alla paura di non riuscire ad essere nel mondo, e, in particolare, sia al timore di dover entrare pienamente nel ruolo di madre, sia alla paura di dover lavorare ecc., ecc. nonché, per di più, tutto ciò veniva affiancato dalla sua difficoltà ad essere realmente una compagna di vita per il suo uomo, poiché quest’ultimo le chiedeva proprio questo: essere donna e non bambina, ruolo che ella purtroppo, non avendo mai vissuto, temeva, essendo stata una cagnolina dipendente nei confronti dell'ex marito per anni.
Tali problematiche emergevano evidenti e chiare dai suoi testuali racconti.
Parlando della figlia ella raccontava: "è una bambina deliziosa, piacevole ma a volte è troppo indipendente, e ho difficoltà a porre limiti al suo comportamento. Non riesco a farmi ubbidire, talvolta intravedo in lei proprio dell'ostilità”. A questo punto, racconta ancora: "perdo la pazienza e comincio a strillare rabbiosamente e talvolta arrivo anche a picchiarla. Il punto è che dopo che ho recitato la scena che io stessa giudico un po’ da matta, mi pento di averla trattata senza rispetto, e alla constatazione di ciò, mi vergogno e gli vado incontro per fare pace e sperare di farmi ubbidire pacificamente, ma credimi non so più cosa fare” …mi diceva.
Parlando del suo nuovo compagno invece raccontava: "mi trovo di nuovo a denigrare un'altra esperienza della mia vita, esperienza tra l'altro molto gradevole, ed è una scelta di vita fatta da me, ma nevroticamente è come se cercassi di guastarla al punto di distruggerla. Ho fallito il mio matrimonio in gran parte per questo motivo, e oggi mi trovo a vivere una nuova esperienza di coppia e di famiglia che ritengo bella. Il rapporto con questo uomo è caratterizzato da tantissimi aspetti positivi che penso siano difficili da trovare, ma nonostante rimugino avendo dei dubbi sui miei sentimenti. Ciò mi costituisce difficoltà a lasciarmi andare emotivamente e provare ad ancorarmi a lui vivendomi appieno e liberamente questa esperienza".

In questi racconti si nota eclatantemente la paura da parte del soggetto di perdersi nella dipendenza.

Da qui il suo comprimersi nel darsi al compagno e nell'esprimere liberamente verso di lui emozioni d'affetto, rappresentando tutto ciò per lei solo debolezza e vulnerabilità… per cui possibile dipendenza.
La sua mania di distruggere il rapporto ne è la manifestazione più evidente (entrare nel ruolo di compagna e… vivere), come anche l'aggressività che talvolta aveva verso la figlia (entrare nel ruolo di madre e responsabilizzarsi).
Il punto era proprio il legame affettivo in generale, poiché esso veniva vissuto come una minaccia al bisogno di autonomia purtroppo mai raggiunto. Ogni possibile richiesta di inserimento nel ruolo di compagna o madre, era dunque costruito in modo persecutorio, a tal punto che erano presenti in tale donna, comportamenti a volte estremamente aggressivi verso i due, e talvolta anche crudeli e vendicativi verso il compagno, poiché vissuto come simbolo di coercizione e di richieste imposte.
L'aspetto estremamente ambiguo e drammatico era che i comportamenti di tale persona erano basati sull'alternanza tra ostilità e dipendenza, una dipendenza mascherata dall'amore e dal bene, sentimenti questi che in altri momenti rifiutava fortemente di possedere.
La donna su questo punto, infatti, mi raccontava di viversi conflitti terribili, un momento desiderava di passare tutta una vita con il suo compagno, mentre altri pensava che proprio questi la schiacciasse, impedendogli di raggiungere la tanto ambita autonomia.

Ora è bene dire che chiunque si trovi a convivere con simili persone viene purtroppo trascinato anch'egli, inevitabilmente, nell'irrazionalità determinata proprio dalla loro incoerenza comportamentale e soprattutto affettiva. Si crea nell'altro una sorta di rincorsa verso una normalità relazionale il più delle volte negata, dovuta ad un vero e proprio bisogno di coerenza e di equilibrio psichico richiesto al partner, ma che questi purtroppo non riesce a dare.

Si nota dunque dal racconto, che la donna viveva emozioni di “amore” e rifiuto verso la stessa persona: il compagno, cosa questa estremamente disorientante per quest'ultimo, che veniva costruito proiettivamente come richiedente affettività imposta, come già affermato.
E' ovvio in questo caso proprio la presenza del conflitto oggetto di questo articolo: il conflitto di indipendenza/dipendenza con le figure genitoriali, non ancora risolto.
La donna, infatti, esprimeva, alla fine della sua storia, proprio il fulcro dei suoi problemi, cioè viveva ancora oggi il rapporto con sua madre in modo conflittuale, ella diceva: "è come se non riuscissi ad accontentarla ancora oggi come figlia, mi sento sempre inadeguata e insicura, non mi sento libera di agire e ho paura di defraudarla… pena un pesante senso di colpa".
Qui si comprende, punto centrale, il perché la donna relazioni ancora oggi, con le persone con le quale si trova legata affettivamente, con schemi infantili.
E' la primaria conoscenza che decide se saremo o no persone adattate, felici o infelici. Purtroppo sono proprio i primari schemi cognitivi, che se disfunzionali costituiranno la devianza nevrotica, che filtrerà tutte le acquisizioni conoscitive successive.

Riepilogando, questa era una persona con forti incapacità di individualizzazione per cui ogni vicinanza del suo partner o della sua figlioletta lo viveva come una minaccia all'indipendenza, un'indipendenza ambita ma nello stesso tempo fortemente temuta… da qui la sua ambiguità emotiva.

Il conflitto fulcro, che questa persona era costretta a vivere, era quindi centrato sulla dipendenza/indipendenza. Il tipico conflitto che caratterizza il bambino/adolescente, il quale si vive contemporaneamente sia il bisogno di dipendenza tipico dell'infanzia (il bisogno di protezione e affetto) sia il bisogno di indipendenza dell'adolescente (libertà e autonomia).
In conclusione, da quanto detto, risulta ovvio proporre e indurre sempre l'autonomia per i propri figli, e non ingannarsi legandoli a sé solo per non sentisi genitori inutili o abbandonati!

Mazzani Maurizio