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mercoledì 23 marzo 2011

Organizzazione della conoscenza e vissuto dello stress

Eccomi a parlare di stress, argomento di sempre più attualità, poiché costituisce, a nostro malgrado, una realtà che avvolge, chi più e chi meno, tutti quanti.
Non è certamente un caso, dunque, che parli di stress e soprattutto della modalità interpretativa con la quale costruiamo le avversità della vita che ci si presentano. E’ proprio il nostro atteggiamento mentale verso le negatività, che deciderà la particolare drammaticità dei comportamenti e delle emozioni che ne seguiranno.
Ritengo, pertanto utile, comprenderlo il più a fondo possibile, al fine di avere più conoscenza disponibile per potergli far fronte.

Il nodo centrale, è che la capacità di gestione dello stress può essere incrementata attraverso la conoscenza dei meccanismi mentali che lo regolano.
L’entità dello stress non consegue automaticamente da eventi ritenuti oggettivamente negativi, ma esiste tutta una serie di fattori personali (le proprie cognizioni) che decidono come un evento qualsiasi inciderà sul nostro stato di salute.
La conoscenza personale, il nostro bagaglio di informazioni “sedimentato” nella memoria nel corso degli anni, quale frutto delle esperienze di reciprocità tra la nostra struttura mentale e il mondo, costituisce il filtro attraverso il quale osserviamo e costruiamo gli eventi di vita. Con tale bagaglio si intendono gli schemi cognitivi, la capacità previsionale, le aspettative, che si adoperano su se stessi e sul mondo.
Il modo di percepire, di interpretare o meglio di costruire la realtà, che è un modo personale ed unico di elaborare gli input interni ed esterni afferenti al nostro sistema cognitivo, è dunque il centro della vita mentale.

Il punto è proprio qui, l'angolazione, l'ottica con cui interpretiamo e valutiamo gli eventi, le cognizioni che abbiamo su di essi, sono il fulcro del nostro divenire sia esso felice od infelice.
Pertanto, quando parliamo delle nostre reazioni agli eventi delle vita, dobbiamo fare attenzione a distinguere fra il valore oggettivo del potenziale agente di stress, e il valore soggettivamente attribuito, che determina l'effettiva risposta fisica e psichica ad esso correlato.
L'uomo non è strettamente determinato dall'ambiente, né dal suo passato, né dalle sue pulsioni, ma dal modo con cui soggettivamente costruisce la conoscenza di sé stesso, del suo ambiente e della sua storia.

E’ “la sedimentazione conoscitiva" che acquista una grande importanza nel decidere se un avvenimento, anche traumatico, avrà effetto sul l'equilibrio psicofisico dell'individuo.
E' la vecchia conoscenza, che imponendosi coattivamente, costituisce il substrato sul quale accomodare la nuova conoscenza (la costruzione del nuovo evento), la quale dovrà necessariamente accettare compromessi prima di fissarsi come "dato nuovo". Inevitabilmente quest'ultima sarà influenzata dalla prima, ed insieme segnano il personale modello interpretativo con il quale ognuno di noi costruisce il mondo e se stesso… da qui l'espressione che noi adattandoci all'ambiente in cui viviamo, non facciamo altro che costruirlo.
Costruire significa semplicemente interpretare la realtà in un modo personale, un modo particolare di osservare e spiegare il mondo che viene costruito attraverso l'esperienza. La realtà non verrebbe quindi scoperta, come molti erroneamente credono, ma semplicemente inventata!

Il patrimonio conoscitivo, la modalità con cui l'individuo entra in relazione con se stesso e il suo ambiente, e ne attribuisce i significati e previsioni, nasce con noi e ci accompagna per tutta la vita. Inizia col rapporto di scambio tra il neonato e le figure significative, cioè nel periodo chiamato dell’attaccamento (periodo in cui la sopravvivenza è strettamente dipendente dalla figura d’accudimento) e, nel quale è integrato il corredo conoscitivo innato (i primari costrutti fisici d’interazione utili alla sopravvivenza, es: il pianto, il sorriso, il dolore, ecc.), producendo l’aumento del patrimonio dei costrutti. Quest’ultimi intesi come unità elementari di conoscenza, e il loro insieme costituisce il personale modo di osservare la realtà.
Spiegato in senso lato, i costrutti costituiscono non altro che il nostro modo di pensare, i nostri “gusti e giudizi”, insomma, detto molto semplicisticamente “ciò che ci piace e ciò che non ci piace”.
In sintesi, l'attività del conoscere sottende l'attività del costruire, la quale a sua volta sottende l'attività del prevedere. Il prevedere è il formarsi un “infinito” numero di costrutti, che ci permettono di sapere, in ogni momento che n’abbiamo bisogno, ad esempio:
-come siamo, come sono gli altri;
-come ci comporteremo, come si comporteranno;
-cosa ci piacerà, cosa gli piacerà; ecc., ecc.
Insomma previsioni su se stessi o sul mondo.

Tale conoscenza da la possibilità di programmare il proprio agire in relazione agli obiettivi che l'individuo stesso si propone.
Conoscere, per l'uomo, è l'impulso primario che governa ogni suo comportamento, ogni sua azione, per raggiungere la sicurezza sull'ambiente, che rappresenta la pietra angolare del suo benessere.

Gli studi sulla psicologia della percezione c’insegnano che non si vedono gli oggetti "perché esistono", ma soltanto dopo un elaborato processo di costruzione, allo stesso modo non si rievocano gli oggetti o le risposte semplicemente perché nella mente esistono le loro tracce, ma soltanto con un analogo processo di ricostruzione (nel quale si fa uso dell'appropriata informazione presente nella memoria). Noi percepiamo "il nuovo", costruendolo sull’informazione costituita dalle tracce dei processi di costruzione precedenti, cioè non esistono in magazzino copie d’eventi mentali completi, ma solamente segmenti della precedente attività costruttiva, se così non fosse dovremmo possedere una capacità mnestica inimmaginabile! Le tracce, dunque, non sono semplicemente "rivissute" o "riattivate", al contrario, i frammenti memorizzati sono utilizzati quale informazione per una nuova costruzione (la nuova invenzione!).

Parafrasando, ciò significa che ogni qualvolta giungano delle informazioni al nostro sistema mentale (es. nuovi dati prodotti da una esperienza in corso), la loro valutazione avviene in modo prettamente soggettivo, poiché l’elaborazione dell’informazioni si fonda, sia sulla presa in atto dei dati presenti (inerenti l’esperienza), sia sui dati pregressi (la sedimentazione conoscitiva già presente in memoria), che creando le aspettative su ciò che si sta conoscendo, ne determina l’interpretazione.
Il punto più che importante sul quale soffermarci è proprio questo: se tale conoscenza pregressa si è formata in condizioni disfunzionali d’interazione (reciprocità disadattiva tra genitori e figli) l’elaborazione dei nuovi dati, sarà purtroppo colorata da tale valenza disfunzionale, compromettendone così la costruzione in atto… ed ecco, dunque, sopraggiungere la psicopatologia
L’oggettività che erroneamente si ritiene possiedano le nostre idee, cade di fronte a tale realtà in cui (visuale costruttivista della conoscenza), ogni nostra costruzione è sempre e sempre un’invenzione! (un atto creativo per eccellenza), come ho più volte asserito.
Pertanto a ciò dobbiamo che il comportamento, da individuo ad individuo, e nello stesso individuo, da momento a momento, è differente; crediamo e pensiamo cose diverse, abbiamo mentalità diverse, cioè prevediamo cose diverse.

Precisando, il progressivo cambiamento di conoscenza ha luogo nel momento d’incontro tra la conoscenza posseduta, che crea aspettative e la verifica di queste con l’esperienza. In tale momento avviene la validazione e l’invalidazione, che costituiscono il dinamismo centrale dell'acquisizione di conoscenza.
L’invalidazione in particolare rappresenta l'occasione d’arricchimento e di sviluppo delle capacità previsionali (cioè possibilità di sostituzione di costruzioni errate). Inoltre, si può dire che l'incremento conoscitivo, (aumento di complessità cognitiva) ci consente una maggiore disponibilità di soluzioni, come anche una maggiore malleabilità al decentramento dalla propria visuale soggettiva, che è elemento centrale per il buon funzionamento psichico.
E' il sistema di conoscenza dell’individuo, le sue convinzioni centrali in particolare (l’immagine posseduta di se stessi, es. buoni, altruisti, amabili, intelligenti, ecc., ecc.), che decidono il livello di vulnerabilità posseduto, e le reazioni psicofisiologiche che saranno messe in atto di fronte ad un potenziale agente di stress (agente che agisce potenzialmente invalidando o solamente ritenendo che invalidi proprio tali aspetti, centrali per la salute dell’individuo).
Insuccessi, rifiuti, perdite, è impossibile evitarli, ma dal punto di vista psicologico "non è importante l'evento in sé" come più volte affermato, quanto il modo con cui si reagisce, cioè la propria reazione emozionale. "Non è importante ciò che succede", ma il modo come lo prendiamo rappresenta il fondamento della salute. A riguardo, ricordiamo per esempio, affermazioni di grandi autori come: C. Du Bois, secondo il quale le idee scorrette producono disagio psicologico; A. Adler, con la sua contrapposizione tra "intelligenza privata" e "senso comune"; Kant, il quale riteneva che le malattie mentali si manifestano quando una persona non riesce a correggere il suo "senso privato" con il "senso comune"; e persino in Marco Aurelio: "se ti è data sofferenza da qualche cosa esterna, non è questa cosa che ti disturba, ma il giudizio su di essa, ed è in tuo potere eliminare questo giudizio”; ancora in Epitteto, "gli uomini non sono mossi dalle cose, ma dalle visioni che di esse hanno".

Pare dunque accertato, che il modello personale con il quale ci si pone in rapporto con la realtà, sia di indiscutibile centralità, per cui è bene non disconoscere l’importanza della struttura cognitiva tipica dell'individuo conoscente, quando si parla di valore stress.
Gli schemi cognitivi, che ciascuno sviluppa durante tutta la sua vita, si ancorano primariamente durante i primi anni, al contatto col mondo esterno e con le esperienze interne. Essi sono una specie di "filtro" attraverso il quale osserviamo il mondo e noi stessi in un modo che è specifico per ciascuno. Inoltre definiscono da un lato, le aspettative su ogni contesto e i calcoli possibili da compiere, dall'altro, le limitazioni conoscitive tipiche all'individuo al quale lo schema appartiene. Vediamo che questi schemi costituiscono proprio la capacità predittiva dell'individuo. Con ciò s’intende che, i sistemi viventi e le persone in particolare, modificano costantemente le proprie costruzioni del mondo, degli altri e di sé e che tale cambiamento rappresenta l'aumento della conoscenza, quindi della sua capacità di previsione.
Tali schemi, quando disfunzionali, costituendo una limitazione all'incremento conoscitivo, quindi della capacità di previsione, rappresentano la limitatezza del sistema e, l'essenza della nostra "vulnerabilità individuale". Questi attivano facilmente pensieri negativi in maniera automatica, (non preceduti da riflessione), persistenti e talvolta talmente rapidi che sfuggono alla consapevolezza dell'individuo, costituendo parte della conoscenza automatica e/o inconsapevole.
L'attivazione di schemi disfunzionali e l'occorrenza di pensieri automatici negativi, si accompagnano costantemente ad esperienze emotive negative e ad una reazione comportamentale e biologica (lo stress), che è conseguente allo schema attivato.

Dunque, se un'esperienza "dannosa" la interpretiamo come catastrofica, ecco che il cuore, il sistema immunitario e il sistema digerente ecc. sono messi a grave rischio. Se la cosa è osservata sì come negativa, ma non tanto spaventosa da non poterla assorbire, la risposta dell'organismo è meno invasiva. Pertanto, l'attività biochimica cerebrale aumenta solo quel poco da permettere una risposta efficace, senza ridurci all'impotenza.
Oggi si è in grado di poter identificare, almeno in parte, i meccanismi tramite i quali fattori psicologici e sociali agiscono sui processi biologici. Se per esempio, l'individuo può determinare troppo poco la propria esistenza, o se le circostanze contrastano con il raggiungimento dei suoi scopi e dei suoi bisogni fondamentali di amore e d’attaccamento, l'esperienza ci dice che aumenta la "vulnerabilità" non solo alle malattie in generale, ma anche alle patologie neoplastiche.
La ricerca sperimentale indica che è particolarmente importante, ai fini degli effetti psicologici e fisiologici di un evento stimolo, la possibilità per il soggetto di esercitare un qualche controllo sull'agente stressante.
Qui entra in gioco l’importanza della percezione della propria efficacia, ciò significa come la mente si ponga di fronte ad un problema da risolvere o ad un obiettivo da raggiungere; argomento già trattato precedentemente in altro articolo.

In conclusione, per conoscere se certi eventi della vita correlano con un quadro di disagio psichico (presenza di ansia, angoscia, paure irrazionali, depressione, affaticamento mentale, rituali ossessivi ecc.), principalmente bisogna vedere in che modo si valutano e si affrontano le proprie esperienze!

Mazzani Maurizio

venerdì 18 marzo 2011

Il counseling cos'è

La traduzione letterale di counseling è "dare consigli", ma tale traduzione è riduzionistica. Il counseling entra in gioco in ogni situazione ove la persona si trovi ad affrontare problematiche di difficile gestione. Il counselor interviene quando una il soggetto ricerca aiuto per gestire con maggiore efficacia uno o più problemi che invadono la sua vita. L'obiettivo del counseling, infatti, è quello di aiutare ad individuare le proprie capacità e punti di forza.

Le attività di counseling possono essere ricondotte secondo la British Association for Counseling a:
-indicazione delle opzioni di cui il soggetto dispone ed appoggiarlo in quella che sceglierà;
-promuovere dei cambiamenti esaminando in particolare le situazioni o i comportamenti problematici;
-indurre fondamentalmente l'autonomia, ricercando insieme alla persona la sua verità.

Il counselor è un consigliere competente che, a differenza dell'aiuto apportato da un familiare, di un amico, ecc., non è coinvolto emotivamente, per cui può agire con maggiore distacco, una leggera lontananza è utile in modo che la sua emotività non intacchi il processo d'aiuto.
Il counselor è una presenza supportiva, non giudicante che si propone come valido appoggio psicologico nei momenti di crisi. Egli offre una serie di competenze atte a promuovere una buona comunicazione e ad incoraggiarela persona a parlare liberamente, a esprimere le emozioni intense di qualunque valenza: sia positive che negative, e portarlo pian piano alla comprensione di se stesso.

L’ottenimento di tali obiettivi avvengono all'interno di una struttura il (framework) ove il counselor lavora. Lo vediamo all'opera con un atteggiamento di completo rispetto per il paziente, accettandolo in ogni sua caratteristica, ma nello stesso tempo fornendo quegli utili input tali da metterlo in lieve discussione. Il fine è sempre promuovere un cambiamento verso un adattamento migliore.
E’ bene dire, infine, che l’attività di counseling la vediamo presente in primo piano negli interventi psicoterapici, poiché il terapista, ovviamente, deve essere in primis un eccellente counselor.

Mazzani Maurizio