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venerdì 8 marzo 2013

L’interprete “Cos’ha il cervello da consentire alla mente di essere e funzionare”


  Entriamo in dialettica con noi stessi, riflettiamo, facciamoci delle domande sulla natura della mente e sulle sue capacità di essere e di funzionare.

Di fronte a tale complessità un brivido avvolge il nostro corpo,  lasciandoci attoniti davanti al mare inconoscibile, ma che pian piano sembra apparire sempre meno segreto.

A cominciare dalla filosofia fino ad arrivare alle neuroscienze, godiamo, oggi, di quel sapere che ci rende, forse, poco, poco più consapevoli delle implicite leggi biologiche che ci riguardano.

La carta vincente è sicuramente l’approccio multidisciplinare, un approccio dove scambi tra differenti discipline permettono di sopperire ai limiti taciti di ciascuna scienza. Biologia molecolare, genetica, psicologia cognitiva, modelli computazionali, tecniche di neuroimaging, un tutto conoscitivo proprio alle neuroscienze cognitive, che si evidenziano quale ponte tra la neurobiologia cerebrale e  lo sviluppo di concetti astratti.

Dobbiamo agli studi su pazienti epilettici a cui veniva rescisso chirurgicamente il corpo calloso (blocco dell’intercomunicazione tra l’emisfero sinistro e destro), un metodo che ha dato, non solo, dei buoni risultati per la cura dell’epilessia ma anche, nel contempo, ha permesso di effettuare, sui medesimi soggetti, differenti studi testologici, che hanno dato inizio alla comprensione dell’aspetto funzionale del cervello.

Nasce proprio in seguito di tali ricerche la maggiore evidenziazione della specificità funzionale tra i due emisferi, se non ché, gli studi sul modo in cui il cervello produce memoria, ragionamento, emozioni ecc., che costituiscono il corpus della disciplina che oggi conosciamo come neuroscienze cognitive.

Eccoci, dunque, all’obiettivo: conoscere le basi della nostra coscienza e le funzioni che la caratterizzano – la simbolizzazione, l’astrazione, la metaforizzazione, ecc., insomma, conoscere la natura “magica”, di quel poco più del 2% di attività mentale che è la coscienza.

Un punto su cui soffermarsi, è che l’apprendimento, per quanto si sia diversamente pensato per anni, pare che simuli il medesimo meccanismo per selezione proprio al sistema immunitario (una cellula preesistente “immunitaria”, riconosce l’antigene, e a scopo difensivo comincia a moltiplicarsi e, eventualmente, a mutarsi e a specializzarsi per far fronte, in maniera più efficace, allo stesso, ecc.). 

Nell’apprendimento il tutto sembra avvenire similmente… l’”antigene”… l’eventuale perturbazione ambientale funge, in un certo qual senso, da selezionatore, tra miliardi di schemi, di risposte preesistenti, che vengono selezionate per individuare quella più congrua a rispondere meglio alla sfida ambientale in oggetto.

Ho già affermato che esistono delle specificità funzionali tra i due emisferi, il destro è specializzato nell’elaborazione delle informazioni socio-emozionali .
L’emisfero sinistro invece è la sede del linguaggio, del ragionamento analitico, della risoluzione di problemi, della capacità di trarre inferenze e di interpretare le nostre azioni e sentimenti.

La maggiore comprensione del funzionamento della mente viene ancora grazie ai test sui pazienti split brain e sulla convinzione del funzionamento dell’apprendimento per selezione e non per istruzione (per istruzione significa che è l’organismo che risponde all’ambiente). Il neuroscienziato Michael Gazzanica ci fornisce uno studio molto esaustivo che evidenzia proprio la presenza della funzione di Interprete del cervello sinistro. Una funzione preposta alla spiegazione del nostro comportamento.

Lo studioso racconta nell’ambito sperimentale dello split brain, che, in contesto di studio, venne mostrata alla metà destra del cervello una persona che stava facendo una passeggiata, poi successivamente si chiese al paziente di mimare ciò che stava osservando, questi si alzò in piedi e cominciò a camminare ma al momento di chiedergli cosa stava facendo, fu il suo emisfero sinistro, ignaro di quello che aveva visto il destro, a fornire la risposta attraverso una qualche invenzione razionalizzante, una spiegazione inventata di bell’appunto che ebbe un qualche senso logico (volevo solo bere qualcosa) (M. Gazzanica 2007).

E’ l’Interprete che osserva ciò che il soggetto sta facendo e fornisce una qualche spiegazione sensata (a sé stesso)… di fatto un lavoro di mantenimento di coerenza personale alla luce dei propri valori conoscitivi.

Il punto èproprio questo, ognuno di noi utilizza il proprio Interprete per spiegarsi i propri stati emotivi  (ansia, euforia, depressione, panico, rabbia, ecc.), è Lui che cerca di dare delle spiegazione sui priori cambiamenti. L’individuo cattura una variazione fisiologica, qualsiasi essa sia, una emozione che muta ed ecco l’Interprete che comincia a costruire la sua teoria di ciò che sta accadendo. 

La cosa che colpisce, é che gran parte del lavoro dell’Interprete è, spesso, di natura auto-ingannevole, poiché ha solo fine di non contrastare la consueta visione di sé stesso alla luce del contesto ambientale che lo caratterizza.

Mazzani Maurizio

La coscienza… e se fosse tutto un’illusione


Ogni creatura che si è evoluta a tal punto da godere dell’intelligenza, percezione, memoria, linguaggio ed emozioni non può che essere cosciente!


Cos’ha il cervello da permettere alla mente di essere e funzionare.
E’ proprio nell’essere e nel funzionare della mente, che la “magia” si concretizza in quel qualcosa di sensazionale che chiamiamo esperienza interiore, soggettiva e privata
Nell’affrontare la questione appare bizzarro, non potendo estraniarci dal nostro oggetto d’indagine, dover prendere atto che la coscienza si trovi proprio ad esplorare se stessa. Di fronte a tal tema sorge spontanea la riflessione sulla consapevolezza di essere consapevoli di ciò che si sta scrivendo sul proprio essere consapevoli, è un gioco di parole che evidenzia la complessità dell’argomento.

La coscienza è ciò che accompagna ogni nostra attività del ragionare, del vedere, del correre, ecc., è il riconoscere il sentimento che accompagna ogni segmento della nostra vita. La coscienza è il senso d’essere, che si delinea ogni qual volta che si ha sentimento nell’espressione di un processo cognitivo specializzato. Cosa avvincente, è che la consapevolezza del nostro Sé concettuale lavora a posteriori, essa riconosce il senso di un dato processo mentale solo dopo che è  avvenuto… “La mente può divenire consapevole solo un tempuscolo dopo che il cervello ha operato “. La coscienza nascerebbe, secondo lo studioso Libet, dopo che il cervello sia stato sufficientemente  stimolato, pare che sia necessario un tempo lungo (mezzo secondo) di attività della corteccia per far si ché compaia il fenomeno della coscienza.

Da studi sulla risposta comportamentale a seguito di richieste di compiti da parte dello sperimentatore, è emerso che il cervello si attivava prima che il soggetto avesse coscienza della scelta di agire - passavano circa 300ms tra l’attività cerebrale e la coscienza della decisione presa. Il libero arbitrio, pertanto, cosi come è comunemente inteso, cade inevitabilmente, definendosi solo come un’illusione. Libet ricavò che il libero arbitrio risiedesse non nell’automatismo della decisione, ma nel potere di veto. Emerge, dunque, in base a tali rilevazioni, che l’unica libertà decisionale, quindi cosciente, che abbiamo, come già affermò il filosofo John Locke più di duecento anni fa, sarebbe quella del veto e non quella dell’arbitrio, ma, tale evidenza rimane, ancora oggi, soggetta ad ulteriori ricerche e approfondimenti.

E’ grazie alla coscienza, dunque, che riconosciamo “il fatto” di provare delle emozioni in conseguenza a qualcosa che percepiamo. L’uomo, rispetto agli animali ha cognizione di più cose, va oltre la semplice consapevolezza delle proprie capacità. Ogni specie animale è consapevole delle proprie abilità, mentre, è propriamente umana la sensazione che abbiamo di esse: tale sensazione corrisponde al quanto d’energia che dona l’effetto della coscienza di avere un . La maggiore articolazione della consapevolezza è direttamente proporzionale alla complessità del cervello che l’ha prodotta. In poche parole, le capacità del cervello sono associate ad almeno una rete neuronale, più reti possiede il cervello tanto più sarà la consapevolezza delle sue capacità.
E’ dalla fisicità cerebrale, quindi, con la sua attività elettrica e bio-chimica di milioni di cellule che, lavorando all’unisono, si esprime, come fenomeno quantico, la coscienza. Essa è così intimamente connessa con il cervello che i mutamenti nell’uno hanno effetto sull’altra, ad esempio: le sostanze che alterano le funzioni del cervello, le lesioni cerebrali seguite a traumi o le stimolazioni sperimentali ad opera di ricercatori su cervelli con corteccia esposta, parallelamente producono alterazioni nel funzionamento della coscienza.
E’ bene chiarire che l’attività cerebrale ha un funzionamento non centrale, come intuitivamente viene da pensare, ma basato su processi paralleli e non seriali… nel linguaggio informatico possiamo dire, non una CPU centrale (Central Processing Unit – il cuore del computer) ma tantissime CPU che lavorano in parallelo, cioè contemporaneamente. Pare che sia proprio tale contemporaneità nel funzionamento di differenti zone cerebrali, anche tra loro distanti, la causa del fenomeno quantico dell’esperienza soggettiva.

Il corpus d’interesse, è l’ipotesi della coscienza quale effetto superiore del funzionamento del cervello. Si è trovato che alcune zone dello stesso siano caratterizzate da cellule dotate di qualia (gli aspetti qualitativi delle esperienze coscienti… cioè le sensazioni specifiche alle singole esperienze). Differenti studi hanno messo in luce in maniera chiara il nesso tra funzionamento del cervello e la coscienza, rapidamente possiamo citare il caso dell’amnesia anterograda dove il soggetto mantiene sia la memoria a breve termine sia quella a lungo termine, ma quest’ultima solo fino a un dato momento, dopo il quale il soggetto non ricorda più nulla, ciò che avviene, è che gli amnesici, come qualsiasi altra persona, vivono, da un lato, il presente come un flusso di coscienza unitario e percepiscono il nesso tra un istante e il successivo, mentre dall’altro non hanno nessun senso di continuità fra l’oggi e il domani e non possono pianificare un futuro basandosi sul passato. Altro studio ci viene dal caso di visione cieca (l’individuo che ne è affetto ha una zona cieca o scotoma nel proprio campo visivo), in questo caso alcuni soggetti sottoposti a visioni di oggetti posti proprio nella zona buia, pur rispondendo che non vedevano nulla erano capaci di orientare gli occhi nella direzione giusta, oppure erano in grado di imitare i punti luminosi che si spostavano nella zona cieca, quello che emerge è che il vedente cieco ha una visione oggettiva ma non ne ha coscienza, poiché sarebbe privo di qualia visivi.

In conclusione si può affermare che la coscienza costituisce un epifenomeno dell’attività elettrico-chimica cerebrale, e che in assenza di attività cerebrale non può esserci coscienza.  Berlucchi G. (neuroscienziato): “può esistere un cervello funzionalmente attivo senza coscienza, ma non può esistere una coscienza senza un cervello funzionalmente attivo, sfido chiunque a smentirmi”.

Maurizio Mazzani