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domenica 22 settembre 2013

La Psicoterapia cognitivo Post-razionalista: le emozioni


Il post-razionalismo assume come centrale per l'uomo i processi di autoorganizzazione e di costruzione del significato personale.

Un aspetto centrale da evidenziare, è che la prassi post-razionalista pone il suo fulcro d’interesse terapeutico sulla soggettività e in particolare sulle attivazioni emozionali, differenziandosi così dall’ortodossia terapeutica cognitivista, che vede nel pensiero il centro dell’agire terapeutico. E’ bene dire, che la psicoterapia nata dagli studi di A. Beck e A. Ellis, fondatori del cognitivismo terapeutico americano, si è dimostrata, nel tempo, e alla luce di innumerevoli riscontri scientifici, una delle psicoterapie più efficaci. Essa però, secondo i post-razionalisti, ha delle intrinseche limitazioni dovute ad un agire terapeutico eccessivamente razionalista e troppo orientato sul mentale, dimenticando così la componente emotiva che, conseguenzialmente cade in secondo piano. 

Nell’evoluzione terapeutica cognitivista si è presentato utile, dunque, trasformare la visione prettamente razionalista, ancorata su basi che possiamo dire “pedagogiche”, con un fare terapeutico che si dimostra, quasi come un’azione educativa, finalizzata basilarmente a correggere il solo modo di pensare e di comportarsi della persona, in una ottica terapeutica che vede nell’individualità il centro del proprio agire. Il terapeuta cognitivista ortodosso, di fatto, agendo come una sorta, di genitore solo perché adulto e quindi più sapiente e maturo, o di un insegnante che ha dalla sua parte il proprio modello di riferimento pedagogico-educativo o, infine, di un prete che ha dentro di sé la convinzione di possedere una verità al di sopra d’ogni altra, si pone, presuntuosamente, quale detentore d’un modello di vita più funzionale e buono per tutti. Il terapeuta post-razionalista invece non ha una verità superiore da offrire al paziente, ma solamente lo aiuta, attraverso perturbazioni strategicamente orientate a trovare la propria strada, il proprio modo di essere che lo renderà più conoscente e più capace di orientarsi nel mondo.

Nell’azione terapeutica post-razionalista il fulcro è lavorare con l’emozioni, badando a non dimenticare che l’esperienza è vissuta su due livelli di conoscenza. Il primo organizzativo costituito dall’esperienza immediata senso-percettiva con le conseguenti attivazioni emozionali e rappresentative ideative, tale livello essendo poco consapevole costituisce la conoscenza tacita scarsamente definita, globale (cosa, come e quando proviamo qualcosa). Nel secondo livello, attraverso l’operatività logico-analitica, che fa capo all’interprete (per maggiori informazioni leggere l’articolo: “Emisfero sinistro: l’interprete”), avviene la “spiegazione dell’esperienza” alla luce di quelle in precedenza vissute, al fine di mantenere la coerenza interna (ed è il perché proviamo qualcosa), una conoscenza, questa, esplicita e consapevole di sé e del mondo.
L’assimilazione dell’esperienza è resa possibile solo attraverso processi autoreferenziali, che utilizzano idonee spiegazioni fortemente soggettive al fine di mantenere l’orientamento su di sé che è cosa di basilare alla sopravvivenza.

L’agire terapeutico deve avvenire, pertanto, puntando l’attenzione non sulle spiegazioni che il soggetto ci offre, che sono fortemente finalizzate al mantenimento della propria coerenza anche a scapito della realtà, ma sull’esperienza immediata che fornisce, per così dire, l’accesso diretto a comprendere il funzionamento del soggetto, le sue difficoltà e i suoi sforzi di adattamento per potersi riferire l’esperienza senza che venga meno la coerenza personale, dobbiamo darci tante spiegazioni quando un’esperienza fortemente discrepante  comporta alta sofferenza.

Le emozioni non devono essere ricondotte al solo sub-stato fisiologico oggettivo che designa l’aspetto clinico disturbante, ma vanno viste nel loro aspetto adattivo. Esse, anche causando disagio, non devono essere soppresse o tenute sotto controllo come si agisce attraverso gli approcci clinici tradizionali o ancor peggio con la psicofarmacologia, ma considerarle nella loro interezza concependole per ciò che sono: messaggeri informazionali che hanno la loro ragion d’essere nel valore conoscitivo che è prioritario rispetto ai processi cognitivi, poiché esprimono più direttamente la soggettività che emerge tra l’esperienza immediata e la successiva spiegazione che la persona da a se stessa.

Tutti percepiamo l’esperienza che ci appartiene come se fosse oggettiva quando in realtà è solo una personale modo di assimilarla, di gestirla basato su cliché formatesi nel percorso evolutivo di cui spesso non né siamo neanche consapevoli. Come  ha  osservato  Tomkins, (1978), “avvertiamo di  provare un’emozione  sproporzionata  rispetto a quanto accaduto,  senza  renderci  conto  di  avere  strutturato  nel  tempo  quel  modo particolare  (unico  e  costante)  di  percepire  ciò  che  ci  capita  di  sperimentare”. Il lavoro terapico è proprio nell’aiutare il soggetto a trasformare ciò che vive come oggettivo ed esterno in interno. Esiste la tecnica della moviola, che consiste nell’analizzare un episodio critico della vita del soggetto, che viene messo a fuoco come se fossero parti di una sceneggiatura, (in pratica: il terapeuta guida il paziente nel lavoro di differenziazione tra esperienza immediata e sua spiegazione rendendolo consapevole del lavoro di attribuzione a sé che si esplica tra i due livelli di conoscenza tacito-esplicito Dodet, 1998) poi si cerca di riformulare il problema, che era stato portato in termini oggettivi ed esterni, in un qualcosa che è espressione del modo soggettivo di funzionare. Con ciò l’esperienza problematica diventa assimilabile non creando così più perturbazione critica alla coerenza interna, al momento che le emozioni vengono viste, quindi, quale prodotto del proprio modo di operare. Si punta, pertanto, a costruire un processo terapeutico che sia in grado di produrre emozioni tali da innescare un cambiamento delle emozioni critiche alla base del disturbo.

Siamo arrivati al dunque della psicoterapia cognitivo post-razionalista, che vede nell’azione sui contenuti emotivi la possibilità di una co-esplorazione (tra terapeuta e paziente) del mondo interno del soggetto, tale da poter indurre un cambiamento stabile e non solo ad un maggior controllo e ad una migliore gestione dei sintomi, che spesso riemergono in altra forma, rimanendo così il disagio di fondo iniziale.

Mazzani Maurizio

1 commento:

  1. Indipendentemente dal fatto che ricevano terapie giornaliere iniettabili orali o future, queste richiedono visite mediche per la cura e il monitoraggio della sicurezza e della risposta. Se i pazienti vengono trattati abbastanza precocemente, prima che si verifichi un sacco di danni al sistema immunitario, l'aspettativa di vita è quasi normale, a condizione che rimangano in trattamento con successo. Tuttavia, quando i pazienti interrompono la terapia, il virus rimbalza a livelli elevati nella maggior parte dei pazienti, a volte associati a una malattia grave perché ho attraversato questo e anche un aumento del rischio di morte. L'obiettivo della "cura" è in corso, ma continuo a credere che il mio governo abbia fatto milioni di farmaci ARV invece di trovare una cura. per terapia e monitoraggio continui. L'ARV da solo non può curare l'HIV poiché tra le cellule infette vi sono cellule di memoria CD4 a vita molto lunga e possibilmente altre cellule che fungono da serbatoi a lungo termine. L'HIV può nascondersi in queste cellule senza essere rilevato dal sistema immunitario del corpo. Pertanto, anche quando l'ART blocca completamente i successivi cicli di infezione delle cellule, i reservoir che sono stati infettati prima dell'inizio della terapia persistono e da questi reservoir l'HIV si rimbalza se la terapia viene interrotta. "Cure" potrebbe significare una cura di eradicazione, che significa liberare completamente il corpo del virus del reservoir o una cura funzionale dell'HIV, dove l'HIV può rimanere nelle cellule del reservoir, ma il rimbalzo ad alti livelli è prevenuto dopo l'interruzione della terapia. crede che ci sia una speranza per le persone che soffrono, la malattia di Parkinson, la schizofrenia, il cancro, la scoliosi, la fibromialgia, la tossicità da fluorochinolone
    Sindrome Fibrodisplasia Ossificans Progressiva.Fatal Familial Insomnia Factor V Leiden Mutazione, Epilessia Dupuytren's disease, Desmoplastic small-round tumore Diabete, Celiachia, Creutzfeldt-Jakob disease, Angiopatia amiloide cerebrale, Atassia, Artrite, Sclerosi laterale amiotrofica, Morbo di Alzheimer, Adrenocorticale carcinoma.Astma, Malattie allergiche. Hiv_ Aids, Herpe, Copd, Diabete, Epatite, ho letto di lui online su come curava Tasha e Tara, così l'ho contattato su drituaherbalcenter@gmail.com anche se ho parlato su whatsapps +2348149277967 credimi è stato facile Ho bevuto la sua medicina a base di erbe per due settimane e sono stato curato proprio come quello non è il dottor Itua un uomo prodigio? Si lo è! Lo ringrazio così tanto che ti consiglierò se sei affetto da una di quelle malattie che Pls lo contatta è un uomo gentile.

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