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mercoledì 18 maggio 2011

Cosa c’è alla base del rapporto affettivo… amore o dipendenza?

Da cosa nascondono espressioni del tipo:
ti amo,
ti voglio bene,
voglio stare con te tutta la vita, ecc?

Non è che voglio minare quella poesia, quel romanticismo proprio ai rapporti amorosi, ma ritengo, che saperne di più aiuti sicuramente a far meglio funzionare una relazione o a subire meno la conseguenza di un eventuale fallimento.
Una specifica conoscenza offre sempre maggiore capacità di fronteggiamento delle difficoltà del quotidiano; così una relazione amorosa potrebbe funzionare sicuramente meglio, se ne conoscessimo i meccanismi che la regolano.

In primis viene da domandarci:
- cos’è che spinge il nostro comportamento verso una o un’altra persona?
- cosa c’è dietro l’innamoramento?
- cos’è che crea l’ostinazione a mantenere in piedi una relazione ormai dimostratasi fallimentare?

I punti cardine dietro a tali domante sono riconducibili al motore motivazionale fondato sul raggiungimento di determinati scopi di vita, e alla dipendenza che si crea in conseguenza all’ottenimento o meno di essi.
Una maggiore o minore presenza di dipendenza in un individuo, è dunque in relazione al suo sistema motivazionale, ove sono in gioco il raggiungimento dei propri scopi e le credenze che si hanno su di essi.
Nella psicologia clinica e sociale la dipendenza, generalmente, è vista come un aspetto costituente una relazione disfunzionale, un deficit dell’individuo adulto nel suo funzionamento interpersonale.
La rigidità della dimensione patologica che ha da sempre caratterizzato la relazione dipendente, sembra comunque che venga, in questi ultimi anni, confutata da diverse ricerche in ambito psicologico e sociale.
Recentemente, infatti, è venuto meno quello stretto legame tra dipendenza e patologia, è emerso, che la dipendenza non sia di per se stessa disfunzionale.
L’ottica nuova con la quale osservarla, sembra essere quella di non considerarla più una caratteristica della personalità patologica, bensì una condizione oggettiva e/o soggettiva di una persona rispetto ad un’altra o, in generale, a più persone.
La dipendenza reciproca e paritaria, che incita una scambievole fiducia, sembra costituire ingrediente fondamentale per una relazione appagante e profonda. Gli individui che credono nel valore dell’autonomia personale in modo che essa sia auspicata come una condizione essenziale per il proprio benessere, sembra che vivano più difficilmente una relazione affettiva appagante, soddisfacente e profonda e che non riescano a riporre facilmente fiducia nel partner.
Purtroppo, nella realtà accade più che frequentemente, che una dipendenza funzionale e paritaria, sprofondi in una asimmetrica, ove uno dei due componenti della relazione è più dipendente dell’altro.

Un eccesso di dipendenza in una relazione affettiva cos’è esattamente?

Una persona che si trovi in una condizione di dipendenza eccessiva da un’altra, significa, in termini puramente utilitaristici, che la persona è dipendente da un’altra, quando nel raggiungimento di alcuni dei sui scopi di vita “considera” l’altra il mezzo per raggiungerli, ritenendo di non avere le risorse necessarie per ottenerli da sola o in altro modo.
Tale realtà è in relazione al numero degli scopi, ciò ovviamente inteso in senso lato, e alle credenze che si hanno su di essi.

Che significa ciò?

Semplicemente che in una relazione d’amore come anche in una qualsiasi relazione, quanto più sono gli scopi che si raggiungono, o che si creda di raggiungere, per via dell’altra persona, tanto più si è dipendenti.
In una relazione asimmetrica la quantità di scopi o il valore ad essi assegnato è tra i due diverso, o anche che la persona più dipendente ritenga, rispetto all’altra, di riuscire a soddisfare, attraverso di essa, alcuni dei propri scopi mentre l’altra no.
Nella relazione affettiva gli scopi che si raggiungono attraverso l’altro, hanno una valenza particolarmente forte, poiché riguardano il raggiungimento dell’appagamento del bisogno d’attaccamento e d’amore in primo luogo, mentre in secondo luogo riguardano la progettualità, la famiglia, i figli, il fare delle cose assieme, ecc., ecc.

E’ utile precisare che, mediante le relazioni in generale e in quella amorosa in particolare, noi raggiungiamo se stessi, di fatto l’altro è il “mezzo” attraverso il rimando del quale noi ci percepiamo, sentiamo il senso della vita. La reciprocità rappresenta una sorta di dinamismo dove ognuno, in un certo qual senso, s’alambicca per avere il maggior ritorno d’apprezzabilità, di considerazione, insomma di conferma d’amabilità personale.

Riprendendo, nella relazione affettiva l’asimmetria è una condizione frequentemente presente, ed è proprio questa che crea il malessere di coppia e quindi la sua disfunzionalità.
Talvolta, inoltre, a contribuire alla maggiore dipendenza dei due componenti della coppia si presentano le condizioni più disparate. La maggiore dipendenza è funzione delle alternative disponibili, vale a dire la possibilità di avere le stesse gratificazioni al di della relazione in questione, cioè sia se esiste la possibilità di poter fare riferimento ad altre persone differenti dal partner, sia alla possibilità di sentirsi facilmente in grado in futuro di poter soddisfare gli scopi dipendenti dall’altro, anche se nel presente ci si trova in una reale condizione di dipendenza.
Pare comunque chiaro, che la condizione di dipendenza di una relazione affettiva è fortemente favorita poiché, oltre ad essere in gioco gli appagamenti offerti dal partner riguardo a eventuali bisogni materiali, è in ballo la propria amabilità, la conferma, come già detto, di essere desiderabili dall’altro.

In una così complessa panoramica, risulta, quindi, facile comprendere come spesso sia difficile trovare il partner idoneo, che soddisfi la condizione necessaria, affinché si pongano i presupposti utili al soddisfacimento dei propri scopi. Per ottenere questo è condizione essenziale che si riesca a “convincere” l’altro a orientare il suo comportamento in modo che soddisfi le nostre mire, a tal fine c’è bisogno d’una capacità seduttiva (che costituisce, di fatto, una sorta di potere sull’altro) per superare la resistenza da questi presentata. Da qui tutte le manfrine che usualmente si presentano durante la fase di conquista e le successive gelosie e possessivismi caratteristici delle storie d’amore… un tutto utile a soddisfare il bisogno più che fondamentale di conferma di sé da parte dell’altro.
Di fatto le condizioni di cui sopra risultano non facilmente realizzabili, perciò è facile capire come il rischio di non trovare alternative favorisca la dipendenza dall’altro e il mantenimento di relazioni fallimentari!

Mettendo sempre da parte la visuale romantica dei rapporti amorosi, la caratteristica spesso ossessiva che segna l’ostinazione di una relazione affettiva in difficoltà, è dovuta agli scopi raggiunti o potenzialmente raggiunti dal dipendente attraverso il partner, che cerca di mantenere il più possibile reale la possibilità che l’altro continui a soddisfare le sue esigenze.
Sì, sembra un paradosso, ma la realtà pare essere proprio questa.
L’individuo che si trova nella posizione sfavorevole di una relazione asimmetrica, ritiene erroneamente che il partner debba necessariamente soddisfare le sue esigenze, anche se questi abbia comunicato, in diversi modi, di non essere più disponibile, ma il dipendente, offuscato dalla proprie credenze sostenute dal bisogno impellente di soddisfare i propri scopi, si trova spesso a non recepire i messaggi verbali e non verbali dell’altro, questo attraverso l’uso di diversi meccanismi difensivi (illusione, inganno, negazione, ecc.,).
E’ tipico, infatti, avere a che fare con espressioni del tipo: prima o poi cambierà, sicuramente è solo un momento transitorio, ecc. La realtà purtroppo il più delle volte è ben altra, la condizione d’asimmetria e lo svantaggio detenuto dal partner dipendente, fa sicché questi stia nel posizione tipica di rincorrere chi fugge, consolidando così la logica della complementarietà ruoli: se ne esiste uno di ruolo deve necessariamente esistere l’altro

In sintesi, l’asimmetria in una relazione affettiva dipende dalla differente importanza tra i due della coppia, attribuita agli scopi raggiunti attraverso l’altra persona. Inoltre, il dipendente ritiene o ha realmente meno alternative alla sua relazione rispetto al partner, e poco potere sull’altro nell’indurlo a soddisfare i propri scopi. Da tale punto consegue, che quanto più è presente dell’insicurezza che il partner soddisfi i propri obiettivi (mancanza di potere – affettivo, denaro, carisma, ecc.) tanto più si è dipendente da questi.
Inoltre va fatto presente che fino a quando si riterrà che il partner prima o poi soddisferà le nostre aspettative (es. mio marito prima o poi cambierà come detto) si è portati a mantenere il ruolo di sottomissione e di particolare disponibilità verso i sui bisogni, con l’obiettivo illusorio di vincere le sue resistenze e sperare nell’eventuale soddisfacimento dei propri (ecco qui di nuovo venire palesemente alla luce la complementarietà dei ruoli).

Quando si è in condizione di dipendenza, ci si trova ad essere facilmente influenzabili dal proprio partner, poiché quest’ultimo è nella posizione di favorire oppure ostacolare il nostro benessere. Vediamo che l’asimmetria relativa alla dipendenza non è altro che un’asimmetria di potere all’interno della coppia, dove chi detiene il potere maggiore può facilmente cadere nell’approfittamento o addirittura nello “sfruttamento” del proprio partner, anche se quasi sempre inconsapevolmente.

In conclusione, doverosamente aggiungo, dopo avere tecnicizzato togliendo il sipario poetico ai rapporti amorosi, che l’amore ovviamente può esistere, ma è purtroppo molto difficile contrastare la coazione costituita dal bisogno di conferma di sé!

Mazzani Maurizio

Disturbi psicogeni dell’alimentazione: anoressia e bulimia

Talvolta i giovani sono soggetti a disturbi del comportamento alimentare… perché accade ciò?

In primis, è bene sapere che questi due disturbi hanno in comune alcune caratteristiche: la ricorrenza episodica delle “abbuffate” (crisi bulimiche), il comportamento compensatorio come il vomito provocato e abuso di lassativi, indotti dal paradossale timore ossessivo di acquistare peso.


E’ bene inoltre ancora dire, che la patologia bulimica arriva talvolta perfino a sfociare in quella anoressica.
Molteplici studi si sono fatti a riguardo, ed è emerso, che i soggetti affetti da tali patologie, hanno dal lato familiare una struttura cognitiva segnata da un attaccamento contraddistinto dell’ambiguità, dall’incertezza e della confusione, tutto ciò dovuto spesso alla mancanza di sicurezza dei genitori nei loro ruoli. Per cui l’alimentazione diviene il centro del contatto col neonato; alcune volte troviamo addirittura dei figli indesiderati.


Questi genitori sono incapaci a comunicare il loro affetto, esso è frammentario e titubante, senza però arrivare alle modalità estreme delle famiglie degli psicotici ove la comunicazione affettiva è estremamente frammentata.
La reciprocità dei primi scambi, dunque, è all’insegna della confusione e della mancata chiarezza. Tale rapporto se conservato nel tempo, diviene il presupposto problematico, che rende difficoltoso per il soggetto, sviluppare il giusto amore di se stessi e di interiore sicurezza.
La figura paterna in queste famiglie possiede aspetto particolarmente deludente, egli spesso avendo difficoltà ad entrare nel ruolo di padre, è raramente presente, e le assenze che lo caratterizzano, costituiscono per il piccolo figlio dei veri propri abbandoni. Tale contesto tipo, è talvolta acuito dalla separazione tra i coniugi, poiché i figli generalmente affidati alla madre, hanno ancor meno la possibilità di relazionare con tale figura paterna.


I pazienti generalmente raccontano in terapia, di non poter dire o fare quello che volevano o sentivano, ed erano sempre a compiacere gli altri al fine di soddisfare il loro bisogno di sentirsi accettati. Troviamo con ciò, che il libero arbitrio è incentrato solo sull’alimentazione, il mangiare troppo o troppo poco diviene l’unica alternativa per esprimere se stessi!
L’esser grassa diviene una forma di rassegnazione, ma anche di protesta, l’esser magra pertanto “carina”, diverrebbe la sola chance (ipotesi: per farsi notare dal proprio padre nelle sue rare comparse).
Il cibo e l’aspetto fisico diventano il campo neutro, in cui l’adolescente può controllare il suo ambiente ed esporre le sue esigenze. Si ha così talvolta una vera e propria strategia intorno all’alimentazione.
L’ansia dovuta alle aspettative di rifiuto, (convinzioni incentrate sulla paura di non essere accettati per quello che si è) provocando disorientamento e sensazioni di vuoto, è colmata con mangiate eccessive tipiche della fase bulimica.


La possibilità di recupero d’autostima è legata al mantenimento di ferree diete con esclusione e rigetto di qualsiasi cibo, che frequentemente si alterna con improvvise crisi bulimiche.
Essendo, dunque, palesemente ovvia l’implicazione familiare, ne deriva che in caso di psicoterapia, i genitori non devono essere esclusi, onde evitare che contrastino la terapia stessa. I genitori devono non opporsi al raggiungimento dell’autonomia, ansi incoraggiarla.
Dal lato culturale, il disturbo anoressico sembra segnato dal modello della “super donna”, capace, ambiziosa e di successo, che osserva minuziosamente l’estetica della magrezza, spesso pubblicizzata come ideale di bellezza femminile dall’industria della moda, tutto ciò sembra favorire, in tali soggetti, sentimenti d’inadeguatezza.
Le conseguenze del digiuno o dell’eccessivo mangiare, assumono valore di rinforzo negativo (evitamento dell’ansia), che insieme a rinforzi di tipo positivo (ipotesi: attirare la compiacenza degli altri), contribuiscono a mantenere la disregolazione alimentare nel tempo. Il proprio fisico diventa il modo di evitare il giudizio degli altri, poiché gli occhi del mondo si posizionerebbero sul corpo divenuto oggetto di scambio, di conseguenza l’accesso al mondo interiore, particolarmente vulnerabile in tali soggetti, sarebbe in un certo qual senso evitato.
Per l’organizzazione cognitiva di tali persone, l’amore rappresenta l’unica e assoluta fonte di vita e di riconoscimento personale, infatti, proprio per questo che rappresenta l’area di maggior timore di disappunto e delusione.


La caratteristica dell’ambiente familiare, ove era determinante l’ambiguità dei sentimenti, ove gli affetti non erano esperiti chiaramente, infatti, porta ad una modalità confusa nella gestione dei rapporti affettivi.
Gli stati emotivi vengono inespressi, e talvolta reazioni depressive anche gravi rimangono nascoste a lungo, manca senso dell’umorismo e compare notevole irritabilità.
La perdita di appetito, in tali soggetti, è rara, anzi molti di essi mangiano, ma poi fanno seguire un vomito “auto indotto”, che talvolta viene percepito come “spontaneo”, al fine evitare che il cibo ingerito venga assimilato, in questi casi si è in presenza, in modo alterno, anche della bulimia.
In alcune donne si può rilevare una sensibilità di tipo paranoideo, fino ad arrivare ad episodi d’irragionevole rabbia indirizzata verso colui che queste pazienti credono, quale causa della loro mancata capacità di differenziarsi e di individualizzarsi. Per cui il loro comportamento, facilmente è contrassegnato da una “morbosità folle” indirizzata verso la dimostrazione della loro “individualità” voluta ma temuta.


Questo perché nei loro rapporti affettivi dell’età adulta, rivivono con estrema facilità l’ombra della loro famiglia, quale è stata limitatrice al raggiungimento della loro autonomia.
Si fa prevalente l’idea, dunque, di non possedere una personalità indipendente poichè spesso è molto bassa l’autostima. Mai hanno la sensazione di fare le cose perché le vogliono fare, esse vivono l’agire quale condotta basata su una reattività a vasto spettro. Questo atteggiamento è a volte camuffato dal terribile negativismo e da una sfida cocciuta. La vita di esse diventa una lotta contro la sensazione di essere sempre gestite dall’altro, sfruttate e contro la realtà di credere di non vivere la propria vita.

Mazzani Maurizio

domenica 8 maggio 2011

Cos'è una rete neurale artificiale?

L’elemento basilare del sistema nervoso degli animali è il neurone. Esso ha la capacità di ricevere e combinare segnali provenienti di altri neuroni. Il livello di tali segnali decide se il neurone resterà inibito o entrerà in conduzione consentendo l’uscita del segnale per mezzo della sua estensione detta assone. L’assone si collega per mezzo di giunzioni dette sinapsi alle ramificazioni chiamate dentriti ove il segnale si diffonde a una gran quantità di altre neuroni. E’ questo complesso di collegamenti di neuroni che viene chiamato Rete Neuronica.
Riprodurre artificialmente la capacità di questa struttura biologica è diventato oggi obiettivo sempre più ambito. I tentativi sono stati apportati sviluppando modelli matematici che ne imitano le funzioni.


Le Reti Neurali artificiali ne sono il prodotto, esse rappresentano la realtà pratica di quei modelli matematici.

E’ alquanto noto che essendo l’informatica ortodossa efficace solamente di fronte a domini strutturati (problemi risolvibili conoscendone a priori regole e procedure), allora le Reti Neurali, lavorando proprio con realtà non prestrutturata diventano oggi oggetto di sempre più interesse.

La Rete Neurale è un particolare sistema informatico che permette di simulare il funzionamento cognitivo umano, per cui ne sostituisce, in taluni casi, la sua presenza.

La previsione non strutturata è dunque l’oggetto chiave della risposta della rete neurale.
Sommariamente il loro utilizzo avviene per problemi del tipo: supporto alle decisioni, diagnosi automatica, interpretazioni dei dati, modellazione del controllo dei processi industriali ecc.

 
Ultimamente sono state effettuate ricerche sperimentali a fine d’implementare sui Reti Neurali anche alcune funzione cognitive complesse. Una è la categorizzazione oggettiva di oggetti (Giornale Italiano di Psicologia, pag. 123-152), un seconda è la simulazione cognitiva delle metafore con rete neurale tipo Back-Propagation, una terza è l’uso di rete neurale nella valutazione dei potenziali umani. Il fulcro del funzionamento della rete neurale è la capacità intrinseca di variare la propria struttura in risposta ad informazioni di addestramento apportate dall’esterno, sviluppando un modo proprio di lavorare l’input. E’ l’apprendimento che la rende utilizzabile in simulazioni di capacità umane, è propria tale caratteristica che le permette di lavorare con problematiche non prestrutturate. 


Le Reti Neurali apprendono come l’uomo attraverso esperienze accumulate. Un’altra caratteristica fondamentale è rappresentata dalla loro capacità di lavorare con dati incompleti o incerti od ancora inquinati da errori o da rumore.
Ogni rete neurale possiede una propria architettura che la rende più idonea per la risoluzione di specifici problemi.

Mazzani Maurizio

giovedì 5 maggio 2011

L’OCCHIO DELLA CREATIVITA’ - Genio e follia

A primavera di alcuni anni fa partecipai come relatore al convegno “Arte e Medicina” inserito nel festival celebrato nella cittadina di Oriolo (Rm).
Il tema del convegno era centrato sull’unità tra mente e corpo ed in modo particolare si poneva l’accento sulla possibile esteriorizzazione del sintomo fisico attraverso la produzione creativa con il conseguente affievolimento di esso.
Certo non è stato un caso che si parli di ciò, la formazione del disturbo psichico e psicosomatico, infatti, sono spesso conseguenti al blocco dell’emozione, la mancanza d’espressione emotiva talvolta sfocia proprio nella patologia.

Diversi studi sono stati effettuati che hanno dimostrato che la sintomatologia patologica tra origine dalla insufficiente espressione dell’emozioni, C. G. Jung parlava di blocco creativo quando cercava di spiegare il perché alcune persone si trovino caratterizzate da chiusura e da mancanza d’esteriorizzazione della propria essenza emotiva.

La letteratura psichiatrica segnala da sempre una forma assai interessante di contiguità fra genio e follia. Strindberg, Schubert e Van Gogh hanno prodotto opere straordinarie dall’interno di esperienze soggettive di livello psicotico. La creatività del matematico ha punti di contatto stretti con quella dell’artista, è il caso di John Nash che si aggiunge ad una lista già lunga. Scriveva Ignazio Matte Blanco che il pensiero dell’uomo si muove continuamente su due strade diverse. Quella della logica formale caratterizzata dalla tendenza a distinguere e a precisare, e quella del sogno in cui l’accostamento è uguaglianza, la parte è il tutto, dove l’aderenza al principio di realtà non è obbligatoria.

Noi siamo esseri creativi per eccellenza, se facciamo un attimo riferimento al processo della visione, troviamo subito che esso è in un certo qual senso un atto creativo specifico. E’ nota l’espressione che la bellezza sta soltanto negli occhi di chi guarda… il mondo dell’esperienza è un prodotto dell’uomo che lo percepisce!

Non esiste corrispondenza tra l’oggetto osservato e la costruzione che il cervello effettua su tale oggetto.
Dagli studi sulle illusioni percettive degli studiosi della “Gestalt-theory” (orientamento teorico di studi psicologici orientati alla comprensione della modalità percettiva tipica dell’uomo), hanno fatto riflettere sul come percepiamo; ad esempio uno stesso schema visivo di una figura ambigua (il percepito) può essere interpretato come un profilo di una bella fanciulla, oppure di una vecchia “befana”, ovvero in un altro caso, lo stesso disegno può essere evidenziato sotto il profilo simmetrico di due facce, oppure focalizzato come figura centrale di un calice.
La prima considerazione da fare, è che la percezione (interazioni tra noi e l'ambiente materiale che ci circonda) non identifica il mondo esterno, in quanto è una simulazione ricostruttiva fortemente influenzata dall’emozione e dalle dominanti cognitive (le nostre idee sovrane), il tutto generato dal cervello sotto il controllo delle determinanti genetiche.

Pertanto vediamo il mondo non come in effetti veramente è, ma mediante sensazioni cerebrali che interpretano la realtà generando immagini, suoni, odori e sapori, per decifrare un universo che di per se stesso non è colorato ed inoltre è silente, inodoro ed insipido, …. in cui la densità della materia, relativa alla nostro tatto, produce una misura del rischio della interazione corporea con l’ambiente.

E' quindi notevolmente importante acquisire coscienza che vediamo il mondo così come lo percepiamo, perchè siamo uomini; ciò "non" vuol dire però, che la nostra elaborazione cerebrale delle percezioni sensoriali sia illusoria, ma che ciò che percepiamo è frutto di una trasfigurazione (una creazione personale) della realtà, attuata dal cervello in modo tale da essere utile alla nostra sopravvivenza ed alle nostre possibilità di indagine cognitiva e a regalaci le emozioni preziose per sviluppare la nostra creatività: pertanto è solo una più profonda riflessione creativa, su quanto percepiamo, che ci permette una più ampia conoscenza del reale
Sì, la visione è in realtà un processo costruttivo per eccellenza. Ognuno di noi dunque, nell’atto visivo costruisce la propria percezione dell’ambiente fisico.

Così ancora nella formazione del mondo delle idee troviamo un altro esempio della caratteristica intrinseca dell’essere umano quale essere prettamente creativo. Nell’interpretazione della realtà, vediamo che incorrono in tale atto elaborativo della vere e proprie attività costruttive.

L’esperienza, il corredo genetico e la particolarietà dell’ambiente, sinergicamente partecipano alla formazione del nostro bagaglio d’idee. E’ proprio esso che costituisce la fonte dalla quale attingiamo quando ci volgiamo in generale ad una nuova costruzione atta ad interpretare l’ambiente, (questo perché ognuno di noi quando interpreta il mondo, persone e ambiente fisico, costruisce dei significati che sono solo personali, dunque lo interpreta in un certo qual modo inventandolo “agendo”, quindi, su di esso con un’azione di produzione creativa). In particolare, anche nella creazione espressiva per eccellenza come ad esempio, la musica, la scrittura, l’artigianato, la pittura, che sono particolari manifestazioni dell’attività cognitiva libera del genio creativo umano, troviamo che anch’esse traggono la loro energia dal nostro magazzino di conoscenza sedimentato nel corso della nostra evoluzione ontogenetica d’interazione coll’ambiente.

Il particolare coctail ereditarietà, esperienza e ambiente, unico per ciascun individuo costituisce, dunque, la fonte dalla quale partorisce ogni forma di pensiero sia divergente che convergente.

Sì, la formazione della nostra fonte di conoscenza avviene nell’interscambio tra noi e l’ambiente (intendendo ambiente: il mondo fisico, il mondo animale e ovviamente l’interazione con i nostri simili), ed è proprio l’esperienza, come detto, che costituisce la condizione per incrementare la nostra conoscenza e favorire la produzione del pensiero divergente, e la possibilità di svincolarci dall’ideazione rigida che costituisce ostacolo alla produzione creativa.
La capacità di sviluppo dell’immaginario e predisposizione al nuovo, è infatti, basata proprio sulla liberazione dalle rigidità, costituita dai preconcetti cognitivi e delle concezioni obsolete (binari coattivi dell’attività mentale).
La presenza del pensiero divergente oltre a favorire la produzione creativa specifica capace di dare piacere per se stessa favorendo l’espressione dell’emozioni, favorisce l’emissione di risposte d’adattamento più funzionali (libere da vincoli), pertanto maggiore abilità di fronteggiamento delle difficoltà di vita, dunque dello stress. Pertanto la limitazione creativa, quindi poca flessibilità nell’adattamento all’ambiente, può portare disfunzionalità e malessere psicologico. Ciò significa che la produzione creativa premia su vasto raggio l’individuo predisponendolo, sia alla liberazione dei contenuti emotivi evitando che finiscano in “sublimazioni” patologiche, sia favorendo l’emissione di risposte d’adattamento più flessibili, il tutto rappresenta una minore vulnerabilità alla psicopatologia.

Lo sviluppo dell’immaginario, biologicamente parlando, induce in alcune aere cerebrali lo sviluppo di un’attività elaborativa parallela dell’emisfero destro (il cervello e diviso in due emisferi, di cui il sinistro è preposto all’attività convergente, razionale ripetitiva e applicativa di informazioni già acquisite, mentre il destro all’attività divergente, creativa dove la produzione del nuovo e dell’inconsueto è la caratteristica dominante), favorendo così la produzione del pensiero completo (sinergia tra i due emisferi).

Una maggiore interazione con l’ambiente offrendo l’incremento del nostro bagaglio di conoscenza, offre consequenzialmente maggiore possibilità di sviluppo dell’immaginario. La libertà dai vincoli mentali, indotta dall’incremento conoscitivo, offre dunque, un’apertura ad un’elaborazione integrata, che permettendo di svincolarci dalla consuetudine del pensiero razionale, favorisce l’attivazione di processi d’intelligenza creativa.
La ristrutturazione critica dei paradigmi cognitivi, costituisce un apprendimento come tanti altri, che stimola la produzione del pensiero divergente.

In sintesi si può dire che l’utilizzazione più completa delle attività cerebrali, ottenuta tramite strategie cognitive adatte a sbloccare e rendere flessibile l’attività associativa (le idee vengono prodotte da un processo associativo e di contiguità temporale) convergente propria dell’emisfero sinistro, può essere programmata al fine di ottenere un’attivazione sincronica della struttura parallela dell’emisfero destro, sede del pensiero divergente, in modo che la più ampia attivazione di differenti funzionalità cerebrali, faciliti l’esercizio della creatività.

Le azioni orientate alla rimozione di fattori cognitivi rigidi, per indurre una rinnovata organizzazione cerebrale tale da predisporre il cervello alla creatività, si fondano su azioni diverse, ma tutte convergenti alla scienza e all’arte in generale.
Troviamo, infatti, nell’area del pensiero divergente appartenente alla fisica moderna un esempio costituito dall’introduzione della problematica della relatività (A. Eistein), sia scienziati che artisti hanno risposto con un egregio adeguamento la loro visuale espressiva, offrendo capacità di grande duttilità cerebrale. Vediamo ad esempio nella produzione di dipinti di Salvador Dalì, l’espressione marcata di una capacità creativa che supera il modello cognitivo dello spazio cartesiano rigido e della concezione dello spazio/tempo concepite come entità assolute e indipendenti. Nei suoi dipinti “orologi molli”, troviamo, infatti, il pittore che raffigura in tal modo l’elasticità dello spazio/tempo.
Questo esempio per dimostrare che le nostre rappresentazioni mentali sono il frutto della capacità umana di trascendere il proprio patrimonio genetico, arricchendolo con nuove interconnessioni cerebrali di origine esperenziale e che possono favorire la produzione creativa.

La creatività
è un aspetto molto importante della personalità che varia
da individuo a individuo. E' basata principalmente sulla
fantasia e si manifesta in modo differente a seconda
dell'età. Il bambino più piccolo è affascinato da tutto
ciò che vede intorno a se è, e tende ad indirizzare la sua
attenzione da un oggetto all'altro.
Il più grandicello, invece, è attratto da oggetti molto
particolari come il telefono o gli oggetti di plastica
colorata in grado di diventare, ai suoi occhi, cose
immaginarie come aeroplani, treni o altro.
Può essere importante aiutare il bambino ad ampliare la
propria personalità inventando, per ogni semplice azione,
un momento avventuroso nel quale fare nuove scoperte.
Il momento dell'igiene personale o del vestirsi può essere
uno di questi: il bambino, infatti, si conoscerà meglio
sviluppando su di sé la propria creatività.

In pratica ogni singola occasione è buona per aiutare il
bambino ad ampliare la propria capacità divergente: ad esempio, una gita fuori porta può risultare utile per avvicinarlo al mondo animale e vegetale illustrando i comportamenti dei singoli animali.
Possiamo stimolare la sua curiosità a conoscere il luogo dove vive o i particolari della vegetazione e le usanze della gente del posto.
Cercare di ritagliare il tempo per trascorrere un intero pomeriggio a giocare con lui dedicandosi ad un’attività creativa come per esempio creare bambole di pezza, vestitini e tutto ciò che si può ritagliare ed incollare, costituisce stimolo alla produzione creativa del bambino!

In conclusione, una maggiore interazione con l’ambiente inteso in senso lato, un maggiore bagaglio d’informazioni, fa sicché uscendo con più facilità dalla rigidità cognitiva (quella dei binari stereotipici costituiti dalla visuale preconcettuale e dogmatica), si favorisca la produzione del pensiero divergente, come anche una maggiore capacità d’adattamento e di risoluzione delle problematiche stressanti.

Inoltre il distaccarsi dalla visuale rigida unita ad una maggiore facilità d’espressione dell’emozioni, manifestata anche attraverso una produzione creativa specifica (arte in generale, pittura, musica, scrittura, ecc,) costituisce ingrediente fondamentale per il benessere psicofisico.

Mazzani Maurizio